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di Alessio Ciminelli

L’intelligenza artificiale è oggi, più che mai, parte integrante delle nostre vite: ciò che anni fa ci sembrava infatti futuristico – per non dire utopico – è ora a portata di chiunque. Basti pensare alle tecnologie di domotizzazione delle case, le quali offrono la comodità di gestione, e pianificazione, della routine domestica anche da remoto; Oppure ai sistemi informatici di comunicazione con l’essere umano (c.d. Chatbot), di cui l’esempio più evidente ad oggi è Chat GPT, in grado di offrire possibilità di informazione, e creazione di contenuti, senza alcun tipo di limite o confine. Tutto ciò è reso possibile grazie al graduale processo di innovazione tecnologica, conosciuto come “Quarta rivoluzione industriale”. La scoperta della dimensione cyber, e dell’IA, sta infatti cambiando il volto della società, proprio come è accaduto a seguito delle grandi invenzioni del passato: motore a scoppio, energia elettrica e la rete per la comunicazione e condivisione di dati (internet).  Ma l’avvento di una tecnologia così avanzata e nuova – come del resto di qualunque fenomeno innovativo – solleva sempre questioni di natura etica, legale e applicativa. È assolutamente legittimo, infatti, chiedersi quale direzione stia prendendo la specie umana e cosa rimarrà di noi davanti ad un processo innovativo così dirompente: per richiamare il noto pittore francese Gauguin il quale, già nel 1897 dipinse una tela dal nome “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?”, si mostra oggi più che mai fortissima l’esigenza di rispondere a fondamentali quesiti esistenziali, nel tentativo di dipanare l’angoscia derivante dall’ incertezza e dal timore dell’ignoto. Ignoto che la nostra società, nel corso del tempo, ha imparato a colmare mediante la diffusione di cultura, sensibilizzazione di coscienza e creazione di norme e codici con l’obiettivo di disciplinare ogni nuovo fenomeno. Un processo che, rispetto all’IA, sorvola qualunque confine territoriale e coinvolge tutti allo stesso modo. Tutto ciò ci impone di collaborare, in maniera quasi distopica, colmando tutte quelle distanze tra popoli che l’uomo ha creato nel corso del tempo. Tale processo di collaborazione, per quanto più ci riguarda da vicino, ci vede coinvolti a livello europeo. L’Unione è infatti oramai da tempo costantemente in prima linea sul tema della gestione e della regolamentazione dell’IA, come dimostrato dalla recente approvazione del c.d. IA Act, al fine di garantire che lo sviluppo tecnologico non crei mai pregiudizio al rispetto dei diritti umani, di cui quello alla riservatezza ne è il fondamento. L’approvazione di tale regolamento, la cui nascita è frutto di una costante e meticolosa fase di negoziazione tra gli Stati, solleva poi questioni attuative di natura interna, con particolare riferimento ai soggetti a cui destinare il compito di vigilare sull’effettivo rispetto della normativa. È infatti chiaro che tale compito, vista la delicatezza dell’argomento trattato, non possa essere affidato a chiunque: si richiedono, in maniera più che legittima, garanzie strutturali e operative riguardo la capacità dell’organismo di provvedere all’effettiva vigilanza e, in maniera correlata, alla capacità di concorrere alla salvaguardia dei diritti umani. Uno standard qualitativo comprensibilmente alto e selettivo di cui il nostro Garante della Privacy, pochi giorni fa, ne ha cercato di dimostrare il possesso mediante segnalazione ai nostri organi apicali: Governo e Parlamento. Il compito all’orizzonte porta con sé notevoli sfide, il cui duplice obiettivo è strettamente correlato: garanzia dei dati personali e sviluppo etico dell’intelligenza artificiale. Correlazione che, tra l’altro, è stata anche individuata dal Garante europeo per la tutela dei dati personali e il Consiglio europeo i quali, mediante parere congiunto n. 5 del 18 giugno 2021, hanno consigliato agli Stati di conferire la nomina di Autorità di controllo per l’IA, figura chiave creata mediante l’IA Act, alle Autorità nazionali di protezione dei dati personali. Questo perché sono necessarie una notevole esperienza nel settore, una forte indipendenza rispetto alle altre realtà statali e un’esigenza di condensare le materie ad un unico soggetto, al fine di evitare l’invasione nelle competenze altrui. La forte autonomia del Garante la porterebbe poi a cooperare con le autorità europee create mediante regolamento, Ufficio e Comitato europeo IA in primis, in maniera totalmente trasparente e attiva, al fine di attuare realmente una politica di sviluppo e coesione. La nomina di un’autorità terza rappresenta quindi il primo fondamentale passo, ma sicuramente non l’unico, al fine di garantire che la libertà individuale dei singoli soggetti sia l’effettivo baluardo posto alla base dell’innovazione tecnologica, il cui scopo principale rimane sempre quello di assistere, e mai sostituire, la componente umana. Solo avendo in mente questo concetto, tornando a parafrasare Gauguin, potremmo cessare di domandarci “Dove andiamo?”, iniziando quindi a porci la domanda corretta: “Di cosa abbiamo bisogno?”.

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