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Il diritto all’oblio permette a qualsiasi individuo di richiedere la cancellazione dei propri dati “senza ingiustificato ritardo”.  I titolari del trattamento hanno poi l’obbligo di eliminare irreversibilmente le informazioni personali, garantendo il rispetto della privacy individuale.

Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), entrato in vigore nel 2018, ha introdotto un insieme di norme rigorose per proteggere la privacy degli individui nell’era digitale.  Uno dei suoi principi fondamentali, ovvero il diritto alla cancellazione (“diritto all’oblio”), sancito all’Art. 17, gioca in questo contesto un ruolo fondamentale, garantendo una gestione attenta e responsabile delle informazioni personali raccolte e conservate da aziende ed organizzazioni.

L’Art. 17 del GDPR consente infatti agli individui la facoltà di richiedere la cancellazione dei propri dati personali per una molteplicità di ragioni. Non solo, infatti, il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare i dati personali quando non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti; ma anche ogni qualvolta l’interessato revochi il proprio consenso e non sussista nessun altro fondamento giuridico per il trattamento. Inoltre, l’interessato potrà vedere i propri dati cancellati nel caso di opposizione in assenza di un motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento (Art. 21(1)) o in qualsiasi circostanza, qualora i dati siano trattati per finalità di marketing diretto (Art. 21(2)). 

Questa disposizione mira a proteggere le persone dalla perpetua conservazione delle loro informazioni, promuovendo la trasparenza e la responsabilità tra i titolari dei dati. Laddove il consenso venga revocato o non sia più necessario conservare i dati per gli scopi originari, il diritto all’oblio consente quindi agli individui di richiedere la cancellazione delle informazioni personali. Questo processo implica la rimozione completa e irreversibile dei dati, assicurando che non siano più accessibili o trattati dalla società che ha ricevuto la richiesta.

Tuttavia, il diritto all’oblio non è un diritto assoluto e prevede quindi delle eccezioni. Il Regolamento stabilisce infatti che i titolari dei dati sono obbligati a rispettare tali richieste di cancellazione, a meno che non siano presenti ragioni legittime per conservare tali informazioni. Nel caso sussistano trattamenti necessari per adempimenti di obblighi giuridici, motivi di interesse pubblico, per accertamento, esercizio o difesa di un diritto in sede giudiziaria o per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione, il diritto alla cancellazione viene meno.

Come chiarito sopra, un esempio pratico di applicazione del diritto all’oblio riguarda le aziende che gestiscono dati personali dei propri clienti. Supponiamo che un individuo abbia precedentemente condiviso informazioni con un’azienda tramite un modulo online, ma successivamente desideri ritirare il suo consenso e richiedere la cancellazione dei dati. In conformità con il GDPR, l’azienda è tenuta a rispettare tale richiesta, eliminando tutte le informazioni personali dell’individuo dai propri archivi per non incorrere in conseguenti reclami e potenziali sanzioni. Per farlo, società ed organizzazioni devono dotarsi di procedure e strumenti per garantire la tempestiva attuazione di questo diritto. Un altro esempio può riguardare qualsiasi tipo di social media: se un utente decide di eliminare il proprio account, ciò deve presupporre la cancellazione totale dei dati personali ad esso associati.

In conclusione, il diritto alla cancellazione, pilastro del GDPR, si erge a baluardo fondamentale per la tutela della privacy di ogni utente nell’ambiente digitale. Esempi pratici, come la gestione delle informazioni aziendali e delle piattaforme online, illustrano la necessità di un’adeguata conformità alle normative per garantire un trattamento etico e responsabile dei dati personali.

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